Vito Marcantonio era nato nel dicembre del 1902 nel cuore di East Harlem, uno degli immensi quartieri della città di New York.
Il nonno Vito, figlio di uno dei patrioti che si unirono ai garibaldini nel 1860, era partito da Picerno, un piccolo paese della provincia di Potenza, per gli Stati Uniti, insieme alla moglie Rosa, nel 1881. L’anno dopo era nato Saverio, il primo Marcantonio cittadino americano, che a 19 anni tornò a Picerno insieme al padre per prendere in moglie la compaesana Angelina De Dovitiis, la sua promessa sposa. Poi di corsa a New York per la definitiva traversata dell’Oceano.
Vito fu un bambino fortunato. Il suo piccolo mondo era al cento per cento italiano, così come italiani erano i suoi primi compagni di gioco. Ma papà Saverio parlava inglese, aveva un buon lavoro, guadagnava il giusto e in casa non si viveva quella condizione di straniamento che caratterizzava tante famiglie contadine che arrivavano dal sud d’Italia. Che avesse una marcia in più fu subito chiaro ai maestri della scuola elementare; al termine degli studi, il preside lo descrisse con espressioni entusiastiche: “si distingue per la tenacia delle proposte, l’iniziativa, il coraggio, le innate doti di leadership”.
Il papà Saverio fu travolto da un tram e restò senza vita ma Vito non si perse d’animo: proseguì negli studi e fu uno dei soli due ragazzi del quartiere a iscriversi alla scuola superiore DeWitt Clinton High School dove incontrò Leonard Covello e Fiorello LaGuardia, le persone più importanti per la sua vita.
Covello, arrivato da Avigliano nel 1896, dopo il dottorato alla Columbia aveva inaugurato un corso d’italiano alla DeWitt Clinton ritrovandosi Marcantonio tra gli allievi. Tra di loro c’era un’ importante intesa, durata tutta la vita e scandita da importanti iniziative come la promozione dello studio dell’italiano a New York, la creazione di “circoli italiani” nel mondo studentesco, la fondazione della Casa del Popolo e la nascita della prima scuola superiore di East Harlem, la BeniaminFranklyn High School, esempio ineguagliato di multiculturalismo dove sarebbero state accolte con eguale dignità generazioni di italiani, ebrei, neri e portoricani.
Fu lo stesso Leonard Covello ad invitare Fiorello LaGuardia alla DeWitt Clinton, per un incontro con gli studenti. In quell’occasione Vito tenne una relazione sulle responsabilità dello Stato per le pensioni e la sicurezza sociale. LaGuardia ne rimase colpito, e non avrebbe perso più di vista questo ragazzo che mostrava grandi doti di leader ed una spiccata sensibilità sociale. Lo avrebbe seguito nei suoi studi giuridici, trovandogli poi un primo posto di lavoro come specialista in casi d’immigrazione. Ma soprattutto ne avrebbe fatto il capo indiscusso della potente macchina elettorale che lo portò prima al Congresso in rappresentanza del collegio di East Harlem e poi alla City Hall.
Eletto sindaco LaGuardia, fu naturale per Marc, come cominciarono a chiamarlo i suoi sostenitori, prendere il suo posto. A soli 32 anni conquistò il collegio per il primo dei sette mandati che lo avrebbero portato al Congresso per ben 14 anni, grazie ad una potente macchina elettorale e ad una base sociale formata dalle comunità italoamericana, portoricana e afroamericana, dalla gente comune di East Harlem, con la quale aveva trascorso tutta la vita e che lo riconosceva come leader indiscusso. Con la sola eccezione del biennio ’36-38, Marc fu sempre rieletto fino al 1950, talvolta vincendo le primarie di tutti i partiti, dai repubblicani ai democratici, altre correndo da solo, alla testa dell’American Labour Party di cui era stato tra i fondatori. La sua forza era il rapporto personale con la “sua” gente, come testimoniano ancora oggi le migliaia di lettere degli elettori conservate nella Public Library di New York.
Sostenitore dei diritti civili, difensore dei lavoratori e degli immigrati, promotore dell’indipendenza di Portorico, faceva della sua attività politica una missione di servizio. I suoi uffici elettorali, aperti dalle dieci del mattino alle otto di sera 365 giorni l’anno, erano un punto di riferimento per tutte le necessità. L’attaccamento del “suo” popolo spiega il fatto straordinario che, pur essendo di idee radicali, Marc abbia vinto ben sette elezioni, sbaragliando una straordinaria opposizione.
Non aveva molti amici negli ambienti che contano, dalle elites finanziarie di Wall Street ai grandi giornali come il New York Times che gli dedicò infuocati editoriali specie dopo il suo voto contrario (l’unico del Congresso) alla guerra in Corea. L’ FBI raccolse oltre 6000 files con segnalazioni sulla sua presunta attività filocomunista; per sconfiggerlo fu necessario cambiare la legge sulle candidature e allargare i confini del suo collegio elettorale. Alla fine, nel 1950 i suoi oppositori la ebbero vinta mettendo in piedi una grande coalizione, dai repubblicani ai democratici, ai liberali e finalmente l’FBI potè mettere una “X” sulla sua scheda alla ipotesi di arresto preventivo in caso di pericolo per la sicurezza nazionale.
Ma Marc non era uno che si dava per vinto. E la mattina del 4 agosto 1954, quando fu colpito da un attacco di cuore e cadde sul selciato della Broadway nella zona della City Hall, stava andando nel suo ufficio a preparare i documenti per l’ennesima candidatura. I medici che ne constatarono la morte gli trovarono al collo un Crocifisso e in tasca la coroncina del Rosario; questo non fu però sufficiente alla Diocesi di New York per autorizzare il funerale nella Chiesa della Madonna del Carmine, il tempio costruito sulla 115ma strada dai primi immigrati italiani e dove Marc era stato battezzato. Il cardinale Francis Spellman, campione dell’anticomunismo in tempi di guerra fredda, fu irremovibile e negò il funerale religioso. «Marcantonio – spiegò il suo portavoce – non ha praticato la sua religione per molti anni e non si è riconciliato con la Chiesa prima di morire». Il popolo di Marc dovette accontentarsi di riservare al suo eroe un enorme tributo laico, con decine di migliaia di persone che affollarono per tre giorni le strade dell’Italian Harlem.
Vito Marcantonio è diventato un “lucano all’estero DOC” perché la sua vita é stata uno straordinario esempio di dedizione politica alla felicità altrui; e sebbene con il passare del tempo la sua storia viene man man dimenticata è giusto riconescere il contributo che ha dato per fare degli Stati Uniti il luogo delle opportunità per tutti.